Relazione terapeutica: Cos’è e che significa?

Che cos’è una Relazione terapeutica?

La relazione terapeutica è una relazione umana nella quale terapeuta e cliente lavorano insieme creando un rapporto di reciproca fiducia.

Significa diventare amici con il terapeuta? E se poi non riesco a fare a meno del terapeuta?

Sono dubbi legittimi per i non addetti ai lavori, poiché al termine “relazione” si lega comunemente l’immagine di un rapporto intimo e personale con qualcuno. Però, per quanto la relazione con il terapeuta possa essere profonda e intima, non si tratta di amicizia, ma di un fattore terapeutico estremamente importante, al punto da poter spesso predire il successo di una terapia.

Questo si verifica perché uno degli aspetti della relazione terapeutica è l’alleanza. Alleanza terapeutica significa porsi degli obiettivi condivisi, dei compiti reciproci durante il trattamento, un legame affettivo caratterizzato da fiducia e rispetto. Possono sembrare aspetti scontati, eppure non sono sempre chiari dall’inizio. Ciò dipende dalla complessità della terapia, non risolvibile in qualche incontro, né con una bacchetta magica.

La scoperta di sé che affronta la persona dev’essere supportata dal terapeuta tenendo sempre bene in mente gli aspetti sui quali si intende lavorare, i compiti legati a ognuna delle figure coinvolte e un clima che permetta di sviscerare tutto ciò che emerge. Per fortuna, entrambi i concetti di relazione e alleanza sono stati sempre più osservati e affinati, fino a diventare un pilastro della psicoterapia.

Cicli cognitivi interpersonali

La relazione assolve diverse funzioni. Innanzitutto, una psicoterapia senza obiettivi, come qualsiasi altro processo, sarà destinata a fallire. È di fondamentale importanza avere ben chiaro in mente il punto di arrivo, in modo da non perdere la bussola durante il tragitto. A parte questi aspetti con un taglio maggiormente pratico, la relazione terapeutica diventa anche il luogo nel quale sperimentare il proprio modo di relazionarsi agli altri.

È ormai consolidata l’idea che i nostri schemi relazionali derivano dalle esperienze fatte in età evolutiva con le figure significative, ovvero i nostri caregiver (i genitori o coloro che si sono presi cura di noi), i primi amici e amori. Una relazione diventa quindi il teatro nel quale mettiamo in scena questi schemi, fondamentali per la comprensione del nostro funzionamento a tutto tondo.

All’inizio degli anni ‘90 una coppia di ricercatori (Safran e Segal, 1990) ha messo in luce il concetto di cicli cognitivi interpersonali. Questi non sono altro che dei processi tipici che mettiamo in atto nelle relazioni e che generano nell’altro risposte prevedibili. In altre parole, ci creiamo delle aspettative sull’andamento di un rapporto, sulla base delle quali attuiamo comportamenti specifici. Questo spesso finisce per rinforzare la patologia, poiché lo scopo principale che ha il nostro cervello è evitare o ridurre la nostra sofferenza, ma questo spesso lo fa a qualsiasi costo, peggiorando la nostra condizione a lungo termine. Dunque, comprendere come funzioniamo in relazione ad un’altra persona è un’ottima base per comprendere l’origine di alcuni disagi e provare a ridurne l’intensità, in un certo senso riprogrammando le uniche modalità che conosciamo.

In effetti, il terapeuta agisce anche come figura di attaccamento, similmente a come hanno fatto i nostri caregiver in passato, permettendo in questo modo di creare una base sicura per il paziente, che faciliti il passaggio a uno stile di attaccamento sicuro.

Rotture e flessioni della relazione

Da una parte, queste informazioni possono aiutare a capire l’importanza della relazione, dall’altra non è sempre così scontato che quest’ultima sia facile da instaurare e lineare nel tempo. I fattori individuali, sia del paziente che del terapeuta, si intrecceranno nella terapia in modi relativamente prevedibili, tuttavia non è scontato che funzioni sempre e allo stesso modo.

Infatti, bisogna considerare un altro importante concetto legato a quello di relazione, ovvero la rottura della stessa. Se è vero che il compito del terapeuta è quello di tenere sotto controllo tutto ciò che avviene in terapia, anche una solida relazione può andare incontro a flessioni e rotture. Vivere la relazione con un terapeuta significa anche investirlo di significati legati alla nostra storia, che possono suscitare vissuti emotivi negativi e difficili da gestire, può essere normale sperimentare emozioni contrastanti nei suoi confronti, sentirsi smarriti, ansiosi, spaventati.

La tendenza è spesso quella di cercare di risolvere questi stati emotivi attraverso l’allontanamento, che si esplicita con risposte secche o cambi di argomento, o l’attacco, espresso sotto forma di rabbia o insoddisfazione verso il terapeuta. Tuttavia, una flessione o rottura ben gestita rappresentano uno spunto importantissimo per l’autoriflessione e la propria crescita personale.

Reparenting: il terapeuta assume attivamente il ruolo di una figura genitoriale nuova

Inoltre, la relazione diventa anche uno specchio che rimanda al paziente il modo in cui egli valuta sé stesso, gli altri e il mondo. Questo permette l’emergere di bisogni profondi del paziente agli occhi attenti del terapeuta, che sarà pronto a riconoscere la vulnerabilità, accogliere i bisogni e soddisfarli in un modo funzionale. Si chiama Reparenting e viene utilizzato per ricreare l’immagine del genitore che il paziente ha interiorizzato, fornendo un nuovo modello di adulto sano.

Conclusioni

In conclusione, la scelta di un terapeuta può risultare meno facile del previsto, poiché hanno un ruolo anche i suoi fattori personali, quindi è importante che la figura alla quale ci rivolgiamo ci faccia una buona impressione dall’inizio. D’altra parte, è importante anche avere fiducia nel terapeuta e provare ad esplorare eventuali vissuti emotivi negativi che possono emergere nella relazione, sentendosi sicuri che questi verranno accolti e rielaborati insieme, con il solo scopo di migliorare il benessere del paziente