Università e meritocrazia: quando l’ossessione della performance minaccia il benessere psicologico

Da Nord a Sud, si sono moltiplicati negli ultimi anni i casi di giovani studenti universitari che hanno purtroppo deciso di togliersi la vita sopraffatti da sentimenti di angoscia e depressione legati al percorso universitario. Il fenomeno ha assunto una dimensione sempre più consistente a partire dalla pandemia, a partire dalla quale i casi di suicidio in quest’ambito sono passati da uno, massimo due casi accertati all’anno, ai quattro del 2022.

La necessità di considerare il benessere psicologico un diritto fondamentale

Anche per questo, nel corso della recente cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico tenutasi all’Università di Ferrara, Alessandra de Fazio, presidente del consiglio degli studenti dell’Università di Ferrara, sotto lo sguardo di un attento Sergio Mattarella, ha sottolineato la necessità che il nostro Paese “consideri il benessere psicologico un diritto fondamentale dell’individuo al pari della salute fisica sia con l’introduzione della figura dello psicologo di base, ma soprattutto con una riforma sistemica che decostruisca i pilastri meritocratici” (Studentessa a Mattarella ‘sistema malato, basta suicidi’ – Emilia-Romagna – ANSA.it).

La pressione del percorso universitario e i suoi effetti negativi

In effetti, purtroppo, spulciando gli articoli di cronaca dell’ultimo anno, saltano agli occhi diverse storie di giovani studenti e studentesse tutte accomunate dallo stesso filo rosso fatto di esami non dati, angosce, senso di inadeguatezza e soprattutto la tendenza a soffrire in silenzio, tenendo all’oscuro di tutto la famiglia. Un segreto inconfessabile, carico di vergogna, portato avanti giorno dopo giorno, appello dopo appello finanche, come successo in molti casi, arrivando a comunicare ai familiari una finta data della discussione della tesi, consapevoli che tale evento non avverrà mai, rivelando al mondo una verità troppo dura da sopportare.

Gli episodi di suicidio e la necessità di intervenire

Di qui allora il tragico gesto che puntualmente lascia nello sconcerto più acuto parenti ed amici. Nel momento in cui viene scritto questo articolo, il caso più recente risale allo scorso 5 aprile e riguarda uno studente di Chieti di 29 anni (Studente suicida Chieti, a 29 anni si toglie la vita dopo bugie esami (tag24.it)) che si è tolto la vita impiccandosi alla porta della propria abitazione. Tra gli altri episodi ha destato invece scalpore quello di Riccardo, 26enne di Padova che a bordo della sua auto si è schiantato volutamente contro un albero lo stesso giorno in cui avrebbe dovuto laurearsi in Scienze Infermieristiche; in realtà, all’università la sua discussione non era prevista. Stessa dinamica anche un anno prima per un 23enne di origini abruzzesi che è stato ritrovato cadavere nel fiume Reno, a Bologna: anche lui aveva annunciato alla famiglia la data della laurea, ma era ben distante dalla fine del suo percorso (Giovani universitari suicidi: negli ultimi tre anni almeno una decina dicasi (Huffington Post)). Gesti estremi, certo, ma che costituiscono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più esteso.

Le pressioni e le aspettative nella società moderna

La parte sommersa è costituita da migliaia di giovani in tutta Italia che, a tinte magari più sfumate, pagano lo stesso scotto quotidiano. Tra di loro, quelli che cercano aiuto nella Psicoterapia sembrano spesso raccontare storie molto simili. Ci sono pressioni, aspettative vissute come estremamente esigenti che agiscono su vari piani: su un piano più culturale, troviamo una società dove la performance e il merito diventano sempre più delle narrazioni tossiche che trasformano le nostre esistenze in competizioni spietate, in cui i parametri del successo e del fallimento assumono inesorabilmente un ruolo cardine nel definire gli individui. Nella logica binaria di tale competizione o si vince o si perde. E chi perde diventa quel fallimento, portandosi dietro da solo tutto il fardello della vergogna della propria presunta inettitudine.

Il ruolo dell’identità nella sofferenza umana

Ma è solo quando esaminiamo il problema su un piano più personale e psicologico che si arriva davvero a comprendere cosa possa scattare in coloro che decidono di compiere tali gesti. In questo quadro, si sono rivelate molto utili le riflessioni della teoria del campo intersoggettivo (Stolorow, Atwood, 1992), e di quella della teoria dei sistemi familiari interni (Schwartz, Sweezy, 2023) riguardo al concetto di identità e al ruolo che essa gioca nella sofferenza umana.

Secondo tali approcci, infatti, l’identità non è vista come un’unica entità solida e separata da quella degli altri ma piuttosto come una configurazione mutevole e contingente di “parti” che si succedono come in un flusso costante. Per chiarire meglio il concetto, possiamo immaginare la nostra identità – ciò che crediamo di essere – come una torta fatta da diversi pezzi. Non tutti i pezzi, tuttavia, hanno lo stesso valore: alcuni li sentiamo più nostri, altri di meno, altri ancora non li vediamo perché non ne siamo consapevoli o addirittura perché più o meno consapevolmente sono per noi “tossici”.