Viviamo in un mondo fatto d’informazioni. E mai, prima d’ora, informarci è stato così semplice e facile. A chi di noi non è mai capitato, magari mentre fa colazione e sta bevendo il suo caffè, di accendere il cellulare e controllare le notizie del giorno. O magari di navigare alla ricerca di informazioni in quel momento per noi rilevanti. Possono essere cinque minuti. Possono diventarne 30. E a fine giornata i minuti possono essere diventati ore.
Può, insomma, un comportamento sano ed utile trasformarsi in altro? Può il sapere mutarsi da un mezzo di arricchimento personale, di crescita e formazione, preziosa chiave di lettura e di comprensione del mondo che ci circonda in uno strumento di sofferenza personale, in una strategia disfunzionale che alimenta la sofferenza emotiva? La risposta è si. Il bisogno di sapere che si tramuta in strumento di sofferenza è il doomscrolling.
Che cos’è doomscrolling?
Il doomscrolling, detto anche doomsurfing, è un neologismo inglese ed indica la tendenza a cercare ossessivamente cattive notizie online, a prescindere dalla loro utilità. E’ il frutto dell’unione dei sostantivi doom, che vuol dire sventura e scrolling, scorrimento. Il doomscrolling, di cui si inizia a parlare fin dal 2018, è diventato una modalità diffusa in particolar modo durante la pandemia dovuta al Covid-19, e sembra caratterizzare in particolar modo il comportamento di persone che già in precedenza soffrivano di ansia e depressione.
Siamo esseri umani. E per nostra natura e assetto evolutivo siamo curiosi. E disposti ad informarci. Sapere, avere informazioni, conoscere è infatti un bisogno tipicamente umano e può aiutare ad avere la sensazione di essere in un ambiente conosciuto, prevedibile e, per questo, sicuro. Proprio per questo motivo, verosimilmente, il bisogno di ricercare informazioni si è manifestato in maniera intensa ed accentuata in un periodo come quello della pandemia da covid, momento in cui il vissuto (trasversale) di vulnerabilità e minaccia attivato da quanto stava accadendo nel mondo si è incontrato con la possibilità di utilizzare in maniera massiccia tecnologie che rendevano facile ed immediato l’accesso ad un numero praticamente illimitato ed inesauribile di informazioni.
Controllare il numero di nuovi casi, approfondire le conoscenze relative alle strategie di protezione e alle modalità di contagio è un comportamento utile e funzionale ma quando la ricerca di informazioni diventa prolungata e non aggiunge nulla a quello di cui eravamo già a conoscenza in precedenza, in quel caso siamo di fronte ad un comportamento disfunzionale. Il doomscrolling, appunto. Che porta ad intense emozioni negative, innesca ed alimenta ansia, angoscia, incertezza, tristezza che, a loro volta, possono riflettersi sulla qualità del sonno e sul benessere generale emotivo e psicofisico (Anand et al.,).
Da cosa viene alimentato il doomscrolling?
Il doomscrolling non è niente altro che un mezzo, una strategia attraverso la quale proviamo a tenere a bada vissuti emotivi spiacevoli. E’ basato su bias cognitivi, cioè su delle convinzioni cognitive erronee, come ad esempio: “più ne so e più sto meglio”, e assolve la funzione di dare un significato all’esperienza e creare un senso di ordine e coerenza che contrasta l’incertezza.
Rientra tra le strategie cognitive di regolazione emotiva, come la rimuginazione o il monitoraggio della minaccia, e nasce con la finalità di attivare o disattivare uno stato emotivo spiacevole ma, come abbiamo ormai capito, fallisce nel suo intento fin dal principio, causando appunto un incremento del dolore mentale (Dimaggio G., Ottavi P., Popolo S., Salvatore G.). In questa ricerca di informazioni non tutto ha però la stessa importanza e rilevanza, non tutte le informazioni cioè vengono trattate con la stessa attenzione e hanno lo stesso peso. Diversi studi infatti hanno evidenziato la tendenza a sottostimare i rischi e gli eventi negativi (bias di ottimismo) e ad attribuire un peso maggiore alle prove che supportano l’ipotesi di partenza (bias di conferma) conferendo, contemporaneamente, un peso minore a quelle che la disconfermano; tendiamo inoltre a continuare la nostra ricerca di informazioni per accumulare più prove che supportano e sono coerenti con quelle che abbiamo visto per prima (bias di ancoraggio) (Cilardo C., Anand et al., Park et al.).
Questi atteggiamenti che, inconsapevolmente, guidano e filtrano la nostra ricerca di informazioni, non fanno che alimentare e sostenere il carattere disfunzionale del doomscrolling, rappresentando i cardini di un vero e proprio circolo vizioso in cui, mossi dal bisogno di avere un sollievo dalla paura, ricerchiamo informazioni nella speranza che siano positive, troviamo invece informazioni negative che alimentano il nostro stato emotivo di paura ed incertezza che ci spinge a cercare altre informazioni.
Come evitare doomscrolling?
Fermiamoci. Anche se occorre uno sforzo per farlo. Prendiamoci un minuto per cercare di riflettere e monitorare l’impatto emotivo innescato dalle informazioni che ci arrivano. Prendiamoci del tempo per capire quali informazioni ci sono utili e separarle da quelle non rilevanti. Diamoci, quindi, del tempo per riuscire a riconoscere qual è il limite per noi tra l’essere consapevolmente e ragionevolmente informati su ciò che sta accadendo e che ci fa paura e quanto, invece, tutte queste informazioni non fanno altro che destabilizzarci e alimentare vissuti emotivi negativi.
- Anand N., Sharma M.K., Thakur P.C., Mondal I., Sahu M., Singh P., Kande J.S., Ms N., Sing R. (2021). Doomsurfing and doomscrolling mediate psychological distress in covid-19 lockdown: implication for awareness of cognitive biases. Perspectives in psychiatric care.
- Park T., Ju I., Ohs J.E., Hinsley A. (2020). Optimistic bias and preventive behavioral engagement in the context of covid-19. Research in social and administrative Pharmacy. Vol 17, Issue 1.
- Cilardo C. (2022). La dipendenza dalle cattive notizie, doomscrolling e doomsurfing. State of Mind.